Il colibrì e l’equilibrio del mondo

Di Camilla Tettoni

“Tu sei come un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere già dove sei. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci a fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura anche a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro”. Sandro Veronesi, già vincitore del Premio Strega con Caos Calmo, è riuscito nel suo ultimo romanzo, Il colibrì (Premio Strega 2020), a definire un protagonista umanissimo. Sì, umanissimo, perché nei suoi ricordi troviamo parti di noi, delle nostre esperienze, delle nostre amicizie, dei nostri amori perduti. Marco Carrera è un uomo come tanti, eppure è l’uomo per eccellenza. Le turbolenze che ha subito in vita non lo hanno sconfitto, anzi: lo hanno rafforzato, donandogli la volontà di rimanere fermo, di concentrare in sé le disavventure degli altri. È l’amore il vero filo conduttore del libro: l’amore per i genitori, l’amore per i fratelli, l’amore per l’amico odiato da tutti perché ritenuto iettatore, l’amore per Luisa, l’amore per la figlia. Infine, l’amore per la nipote. Il colibrì è uno di quei romanzi di cui si ha timore di rivelare troppo, in quanto ogni pagina cela un segreto che verrà rivelato nell’immediato o più tardi. Ho avuto il piacere di partecipare a una conferenza presenziata dall’autore: Veronesi ha parlato di questa sua tecnica narrativa, esplicitando come sia fortemente legata all’ispirazione del momento. A ciò dobbiamo ricondurre anche la cronologia del romanzo, interessantissima nel suo andare avanti e indietro, passando dai giorni nostri alla sua infanzia. Al termine del libro abbiamo la certezza di conoscere profondamente Marco Carrera, in quanto di lui ci vengono descritte le più grandi debolezze, così come i punti di forza. Le parole non dette diventano macigni, la casa di famiglia diverrà un luogo di cui disfarsi, il sé del passato rivive nel Marco adulto, subendo una profonda trasformazione. Tutte le disavventure subite lo hanno portato a crescere Mirajin, “l’uomo nuovo”, la nipotina. In lei vedrà la bontà e la bellezza che non aveva avuto modo di vivere in precedenza. Nell’ “uomo nuovo” si intravede una nuova era, il principio di una nuova società o, per restringere il campo, di una nuova e più fortunata storia familiare. È proprio la cara nipote a stargli accanto fino alla fine, fino a quando la vita diviene un soffio labile, fioco. Insieme a lei Luisa Lattes, l’amore di gioventù, nei cui ricordi Marco spesso naufragava per affrontare il presente con più sicurezza. Come scrive Veronesi, “È vero che se una storia d’amore non finisce, o nemmeno comincia, essa continuerà a perseguitare la vita dei protagonisti con il suo nulla di cose non dette, azioni non compiute, baci non dati…”. Ma il rimpianto è fine a se stesso: come un colibrì, il protagonista riesce a rimanere fermo nel presente lasciandosi avvolgere dai tempi andati, arrivando pian piano a non provare più nostalgia. E quando sarà tardi, quando non vi sarà più bisogno di un ricordo per stare meglio ma sarà necessario lasciarsi andare, allora accadrà il lieto fine: l’indifferenza e il dolore verranno definitivamente sconfitti. Marco Carrera è come noi, con le nostre mancanze e i nostri dolori. È l’esagerazione del genere umano, statico nel suo essere e nel suo desiderio, in equilibrio su correnti contrastanti. Lettura consigliatissima. La storia narrata e il successo riscosso hanno portato alla produzione di un film tratto da questo libro: l’uscita è prevista nel 2021. Regia di Francesca Archibugi, nel cast figurano Pierfrancesco Favino, Nanni Moretti, Kasia Smutniak.

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