Di Benedetta Vale
Ho conosciuto la storia di Pietro Orlando attraverso una puntata di Geo, noto programma televisivo di Rai3. Pietro è un ragazzo di diciannove anni di Bova Marina, paese della costa ionica della Calabria (dove io, tra l’altro, trascorrevo le vacanze estive da bambina). Al di là di questa personale parentesi autobiografica, sono rimasta colpita dalla storia di questo giovanissimo pastore calabrese che, all’età di soli nove anni, ha avuto un’intuizione su quale fosse la sua reale vocazione e non ha avuto paura di seguirla. Il caso, il destino o qualsiasi altra entità in cui tu creda, che svolge compiti simili, lo ha aiutato: Pietro racconta di aver vinto per caso una capretta all’età di 9 anni ed ha chiesto a Babbo Natale di regalargli un terreno. Immedesimiamoci nella scena: un bambino di 9 anni che, per Natale, chiede nulla di meno che un terreno. La fortuna aiuta gli audaci e Pietro è riuscito a realizzare il suo sogno: oggi possiede un terreno dove si prende cura dei suoi animali e si dedica alla produzione di prodotti caseari e non solo. Ancora una volta alla necessità è seguita un’intuizione vincente: applicando i suoi studi universitari alla situazione di necessità in cui si trovava, ha scoperto che con gli ultrasuoni è possibile riprodurre un suono simile, all’orecchio del lupo, a quello di uno sparo, tenendo lontano l’animale. Costruisce così un collare che si ricarica ad energia solare che, attraverso gli ultrasuoni, protegge le capre dal pericolo dei lupi. Il brevetto del collare si trova oggi all’Ufficio europeo dei brevetti a Monaco di Baviera e diverrà un oggetto fondamentale per chiunque svolga il suo stesso mestiere. Diciannove anni, un sogno e tanta caparbietà (come lui stesso dichiara). Cari lettori, adesso mi rivolgo a voi: qual è la differenza tra un piccolo e un grande sogno? Io risponderei: la misura in cui quel sogno mi consente di esprimere le mie capacità, mi regala emozioni e diventa un canale attraverso cui posso aiutare il prossimo. Quanti, come Pietro, davanti al presentarsi di un sogno, hanno avuto la fiducia nelle intuizioni, seppure in giovane età, come nel suo caso? E quanti di noi riescono a pensare in maniera nitida ai propri sogni, senza confonderli coi i falsi modelli imposti dalla società, dove il sogno luccicante potrebbe rivelarsi in realtà poco appagante, se non una vera e propria prigione dorata? Conoscere la storia di Pietro mi ha fatto pensare all’avere un sogno e realizzarlo come a raggiungere finalmente la propria dimensione, quella che vibra alla nostra frequenza e a quella di nessun altro. Azzardo un’altra domanda: sarà forse una concezione comune, un po’ distorta, che si ha del sogno, a trascinare la nostra società verso vite standardizzate e poco appaganti? Il sogno non potrebbe essere forse un qualcosa di estremamente concreto, e molto più vicino a noi di quanto si creda? Anche nel linguaggio comune possiamo trovare espressioni fuorvianti come “casa da sogno” o “vacanza da sogno”: perché invece non chiederci (e ascoltare attentamente la risposta) quale sia la casa dei nostri sogni, così come per il lavoro, le vacanze o la persona da avere accanto? (Anche nelle relazioni, seppur inconsapevolmente, cadere vittima dei modelli è più frequente di quanto si pensi). Gerarchizzare la realtà in cose universalmente più o meno desiderabili distoglie dai reali desideri; quanti bambini, come Pietro, hanno la possibilità di esternare il sogno di coltivare un terreno o di svolgere qualsiasi attività non prevista nel percorso standardizzato che vede tutti i bambini medici, avvocati, magistrati, o in un comodo, per citare un famoso comico, “posto fisso”? Per fortuna, la pandemia ci sta risvegliando dal torpore di una vita troppo rigida che non lascia spazio all’auto-ascolto e alle aspirazioni, e anche il settore primario, su cui si reggono tutti gli altri, si trova in una fortunata fase di rinascita: è in crescita la percentuale di popolazione che sta rivalutando il desiderio (sepolto) di dedicarsi alle coltivazioni, agli animali o ad altri numerosi settori dimenticati che prevedono l’instaurarsi di un rapporto stretto con la natura, ormai tristemente relegata, dagli abitanti delle città, alla meta di sporadiche gite domenicali. In quanti, da dietro un pc, sognano in realtà un’altra vita, ma preferiscono restare fedeli ad un modello di vita imposto dal sistema dominante? In questo modo, in caso di “fallimento”, si potrà dare comodamente la colpa ad una società che ha illuso e poi deluso, evitando la responsabilità che un percorso controcorrente e autentico potrebbe comportare.
