Eleanor Oliphant sta benissimo: un caso letterario

Di Benedetta Vale

“Mi chiamo Eleanor Oliphant e sto bene, anzi: sto benissimo.
Non bado agli altri. So che spesso mi fissano, sussurrano, girano la testa quando passo. Forse è perché io dico sempre quello che penso. Ma io sorrido. Ho quasi trent’anni e da nove lavoro nello stesso ufficio. In pausa pranzo faccio le parole crociate. Poi torno a casa e mi prendo cura di Polly, la mia piantina: lei ha bisogno di me, e io non ho bisogno di nient’altro. Perché da sola sto bene.
Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata di mia madre. Mi chiama dalla prigione. Dopo averla sentita, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto.
E se me lo chiedete, infatti, io sto bene. Anzi, benissimo.
O così credevo, fino a oggi. Perché oggi è successa una cosa nuova. Qualcuno mi ha rivolto un gesto gentile. Il primo della mia vita. E all’improvviso, ho scoperto che il mondo segue delle regole che non conosco. Che gli altri non hanno le mie paure, non cercano a ogni istante di dimenticare il passato. Forse il «tutto» che credevo di avere è precisamente tutto ciò che mi manca. E forse è ora di imparare davvero a stare bene.
Anzi: benissimo”. Eleanor Oliphant sta benissimo (Gail Honeyman, 2017), è il romanzo d’esordio più venduto di sempre in Inghilterra, è stato pubblicato in 35 paesi e ha vinto il Costa First Novel Award. Ho scoperto questo romanzo per caso, chiacchierando con una ragazza seduta davanti a me sul treno, quasi un anno fa. Quel titolo si è sedimentato nella mia mente per poi risalire a galla pochi giorni fa. Era il momento giusto. Mai come ora, momento in cui tutti ci stiamo godendo/sopportando un’intensa frequentazione esclusiva con noi stessi, un romanzo del genere può sprigionare tutto il suo potere. La protagonista, Eleanor, mi è sembrata un umano troppo umano, è il personaggio in cui chiunque può specchiarsi e rivedere tutto ciò che non si ammetterebbe mai con orgoglio, ci mostra le paure, le insicurezze, la sensazione innata di solitudine con cui ciascuno convive dalla nascita. Ci mette davanti al nostro lato meno scintillante, patinato, e ci fa osservare tutto ciò che tutti, almeno un po’, vorremmo eliminare. La prospettiva è quella di una protagonista che si racconta senza censure, ignorando la distinzione tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è, sia al lettore sia ai personaggi che entrano in relazione con lei. Non ha peli sulla lingua, dice quello che pensa e non capisce perché non sia socialmente accettato esprimere i propri pensieri, senza dire una cosa per dirne il contrario. Eleanor guarda la società con un occhio saggio e distaccato, con l’ingenuità e il coraggio di chi non teme più molto perché ha già toccato vette di sofferenza che non tutti sperimentano in una vita sola, notandone tutte le contraddizioni; è felice quando una catena fortuita di eventi, scompigliando i suoi piani, la avvicina ad una nuova integrazione sociale, e commenta con grande acume le dinamiche umane che inizia a conoscere e sperimentare:

“…attraverso l’attenta osservazione dai margini, avevo scoperto che spesso il successo sociale si basa su un minimo di finzione. A volte le persone popolari devono ridere di cose che non trovano molto divertenti, devono fare cose cui non tengono particolarmente, con gente di cui non apprezzano particolarmente la compagnia. Io no. Anni prima avevo deciso che se la scelta fosse stare tra fare così o volare in solitaria, allora avrei volato in solitaria.”

Un romanzo catartico, un condensato di vissuti per esorcizzare piccoli e grandi mali, guardandoli non più come solo propri, ma come universali. Credo che tra i libri, come in tutta la produzione artistica, ci siano opere categorizzabili, a cui è possibile associare qualcosa anche solo di vagamente simile; poi, ogni tanto, come meteore, arrivano gli unicum, originali, distanti; sembrano essere sbocciati dal nulla mentre racchiudono tutto, non richiedono preparazione per essere letti, perché è tanta la loro grandezza, quanta la loro illimitata accessibilità. Un esempio di come la semplicità possa perfettamente associarsi ad un grande valore artistico: l’ennesimo esempio che sfata il mito per cui la letteratura alta debba necessariamente essere complessa. Credo che una lettura di questo tipo non possa lasciare indifferenti; è un romanzo che tiene compagnia, e dà in prestito un paio di occhi per guardare più nitidamente la realtà che ci circonda. Sarebbe un peccato perdersi una storia così tanto vera, un personaggio con cui non si può non diventare amici.

“Il passato si nascondeva da me – o io da lui – eppure era ancora lì, immobile, in agguato nell’oscurità. Era ora di fare entrare un po’ di luce.”

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