Di Camilla Tettoni
“C'è tanta gente infelice che tuttavia non prende l'iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l'animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura. La gioia di vivere deriva dall'incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell'avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso.”
Quando anni fa guardai per la prima volta Into the Wild (2007) provai emozioni forti e contrastanti. Il regista, Sean Penn, è riuscito a rendere perfettamente l’idea di un giovane che, disgustato dalla società, decide di intraprendere un viaggio da solo per andare alla ricerca di se stesso, lasciandosi indietro il passato. Un bravissimo Emile Hirsch interpreta la storia del vero Christopher McCandless che, dopo una laurea in Storia e Antropologia, donò i suoi risparmi alla Oxfam (associazione che si occupa di ridurre la fame nel mondo) e partì alla scoperta degli Stati Uniti con una macchina, una chitarra, un pallone e una scorta di riso. Le musiche di Eddie Vedder, vincitore del Golden Globe per Guaranteed come miglior canzone originale, esaltano le emozioni del protagonista: il suo disgusto verso la società capitalista; la propria famiglia; la voglia di cambiare; la solitudine, colmata dall’incontro con persone piacevolissime, come la coppia di hippy o il dolcissimo anziano, che lo vede quasi come un figlio. I due anni di viaggio sono accompagnati da letture impegnate, come Walden ovvero Vita nei Boschi di Thoreau e Il Dottor Zivago, di Boris Pasternak. Gli ultimi mesi trascorsi in Alaska e la tragica fine in quell’autobus colorato, trovato per caso, racchiudono in sé il significato ultimo del viaggio di Christopher McCandless: “happiness is only real when shared”, la felicità è reale solo quando la si condivide. Quest’appunto, trovato tra le pagine di uno dei suoi libri, sancisce la fine del film e il principio del tormento di chi si è lasciato emozionare dalla pellicola. Con il suo road trip, Christopher ha portato avanti il sogno di molti di noi, desiderosi talvolta di lasciare tutto alle spalle per intraprendere una nuova vita con dei nuovi orizzonti, soli e lontani dall’uniformità della società. Lui ci ha preceduto e ci ha mostrato che più ci si allontana dai luoghi comuni, dai sentimenti che si vogliono dimenticare, più si rimane avvolti e si comprende che, in fondo, il mondo è pieno di persone buone per le quali vale la pena tornare indietro. Quando Christopher capisce che è non è più necessario fuggire il passato, un impedimento naturale ostacola il suo ritorno e tutto quello che rimane di lui sono un diario, degli appunti scritti su libri, delle fotografie e un corpicino di 30 kg. Il primo a parlare della vicenda di questo giovane sfortunato è stato lo scrittore Jon Krakauer nel 1993, in un articolo intitolato Morte di un innocente, apparso sul magazine “Outside”. In seguito, ricostruendo i fatti attraverso le pagine del suo diario e tramite le testimonianze delle persone che avevano incontrato Christopher durante il suo viaggio, Krakauer ha pubblicato nel 1996 Into the Wild – Nelle terre estreme, diventato un best seller a livello mondiale. Quasi dieci anni dopo la prima pubblicazione di questo libro Sean Penn, profondamente colpito dalle vicende del giovane nomade, è riuscito ad ottenere i diritti cinematografici per portare sul grande schermo la storia e il messaggio di Christopher: i familiari, finalmente, avevano dato il loro benestare. Il rapporto con la famiglia rimane un nodo irrisolto: sappiamo da un romanzo della sorella di McCandless, Carine, Into the Wild Truth (2014), che era stato l’atteggiamento violento del padre, dettato dall’alcool, ad aver spinto il fratello a rifugiarsi nella natura, lontano da tutti.
“Ho avuto una vita felice e ringrazio il Signore. Addio e che Iddio vi benedica!” recita una scritta lasciata da Christopher sull’autobus. Lo scorso giugno, dopo ventotto anni dalla morte del giovane, è stato rimosso il “magic bus”, il suo ultimo rifugio. In questi anni, in seguito all’uscita del fortunato libro di Krakauer e del bellissimo film di Sean Penn, molti si sono cimentati nel percorrere il tragitto di Christopher, a guisa di un pellegrinaggio. Termine ultimo del viaggio: il raggiungimento del “magic bus”. Ma l’imperizia di molti turisti, alcuni dei quali hanno addirittura perso la vita per raggiungerlo, ha portato alla rimozione del pulmino, al momento tenuto al chiuso in un luogo non ben precisato. Le autorità rivelano che forse un giorno sarà esposto in un museo. Curioso, no? Il caso ha voluto che l’emblema ultimo del viaggio di Christopher venisse rimosso per essere posto al chiuso, in un luogo in cui (forse) si entrerà pagando. La società, la società…
