Di Benedetta Vale
Un tempo studiata principalmente su cartine geografiche e manuali, la geografia ha decisamente esteso i suoi confini. Poiché la realtà territoriale è sia oggettiva sia soggettiva, in quanto ciascuno ha una sua personale visione e relazione col territorio, la soggettività assume un ruolo importante nello studio di questa disciplina, completandola. Tutto questo per dire: oggi la geografia è studiata anche attraverso l’arte, la letteratura, il cinema, che forniscono nuovi punti di vista possibili sulla realtà che ci circonda e in cui viviamo. Possiamo studiare la Sicilia attraverso i romanzi di Verga o i paesaggi lombardi attraverso Manzoni, cogliendo in questo modo anche aspetti incomunicabili attraverso un tradizionale manuale. La realtà non è forse anche la somma delle percezioni che tutti noi abbiamo di essa? Veniamo ad un caso che mi sento di porre come emblematico di ciò, ma allo stesso tempo originale e unico nel suo genere: i film di Wes Anderson, e in particolare uno, forse il più famoso, intitolato “Grand Budapest Hotel“. Wesley Wales “Wes” Anderson (Houston, 1º maggio 1969) è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense; i suoi film brillano per la particolarità della fotografia e delle ambientazioni, ed ha inoltre la straordinaria capacità di unire il reale al fantastico. Non mi soffermerò sulla trama per non togliere nulla alla sorpresa per chi di voi sceglierà di guardarlo: la storia narra delle avventure di Gustave H, leggendario portiere di un famoso albergo europeo, nel periodo tra le due guerre, e del suo fidato amico Zero Moustafa. Piuttosto è interessante notare quali siano gli aspetti di questo film che ci parlano di geografia, di territorio, di forma della realtà. La storia è ambientata nella città inventata di Zubrowka che, mentre è immaginaria, regalando a questo film un’aria di leggerezza e sospensione della realtà, raccoglie i caratteri dominanti delle città europee del tempo, realizzando una città prototipica, una città più reale del reale, ma allo stesso tempo non realistica, poiché ne rappresenta una sintesi concentrata. Anderson ha dichiarato che Grand Budapest Hotel, film tanto lontano dalla realtà quanto carico di riferimenti ad essa, è dedicato a Stefan Zweig, scrittore austriaco tra i più universalmente noti negli anni ’20 e ’30, alle cui opere egli si è ispirato nel realizzare questo film che propone un’interessante riflessione sull’arte della narrazione e sulle sue forme, una riflessione storico-politica e un sottile equilibrio tra commedia e dramma, gioia e malinconia, che incuriosisce lo spettatore destabilizzandolo. Si tratta di una forma d’arte che fa traballare gli schemi e le categorie su ciò che è considerato reale nell’immaginario collettivo, scaturendo un caos distruttivo e creativo che, probabilmente, non lascerebbe indifferente il più distaccato degli spettatori.
Quanto credi che l’arte influenzi la percezione della realtà nell’immaginario comune? Dove credi che finisca la soggettività e possano intravedersi i confini con l’oggettività dei manuali geografici? Credi che emozioni e vissuti personali possano alterare la percezione del mondo, toccando anche gli aspetti universalmente considerati come oggettivi?
