Di Camilla Tettoni
Nonostante sia ottobre, le temperature sembrano aver raggiunto picchi invernali. Il sole illude l’autunno: è già tempo di bere tazze di cioccolata calda davanti al camino. E quindi eccomi qui, finalmente, con una tisana in mano, una coperta a ricoprirmi e un pigiama di dubbio gusto, pronta a raccontarvi Luigi Pirandello. Chi non conosce Pirandello? Nato a Girgenti negli anni ’60 dell’800, dopo aver iniziato gli studi presso l’Università di Palermo decide di trasferirsi a Roma. A causa di incomprensioni con il docente di latino, riprende gli studi in Germania, a Bonn. Si laurea con una tesi sul dialetto siculo, ma confida ai genitori che non intende proseguire “l’arida ricerca”, bensì dedicarsi alla scrittura. Rompe un fidanzamento con una cugina perché invaghito di Jenny Schulz Lander, a cui dedicherà una raccolta di poesie. Promesso in matrimonio alla figlia del socio del padre, Maria Antonietta Portulano, si innamora di lei per corrispondenza, ancora prima di conoscerla. Da questi brevi cenni biografici sulla personalità di Pirandello emerge un’impavida e simpatica spontaneità. Appassionato di teatro, scrive svariate commedie: i brevi racconti pubblicati nella raccolta Novelle per un anno fanno da ipotesti ai drammi rappresentati. La fama raggiunta con la pubblicazione de Il fu Mattia Pascal lo rendono noto a livello internazionale. Colpito dai movimenti avanguardisti, si dedicò all’impresa di scardinare la divisione attore-spettatore: gli attori portano in scena la vita, rappresentano prototipi e maschere in cui lo spettatore può riconoscersi. Il teatro di Pirandello va oltre le convenzioni, ricerca e rappresenta la verità, toglie attori dal palco per metterli in mezzo al pubblico. Tutti diventano teatranti, il mondo diventa il palcoscenico degli “attanti”, dei viventi.
Dato questo quadro, sembra assurdo dover aggiungere che il celebre scrittore fosse iscritto al partito fascista, e che Mussolini abbia finanziato la compagnia del Teatro d’Arte da lui diretta nel triennio 1925-1928. Un pensatore libero, spontaneo e cittadino del mondo, appartenente al gregge che reclamava ordine e disciplina: fa strano, eppure è così. Va certamente sottolineato che il rapporto tra Pirandello e Mussolini andò pian piano disgregandosi, tanto che il drammaturgo mise per iscritto di non volere funerali di stato. Il premio Nobel Luigi Pirandello non voleva essere ricordato pubblicamente. Ecco, personalmente ritengo che questa decisione gli abbia fatto onore: essendo morto nel 1936, non poté venire a conoscenza della promulgazione delle leggi razziali, né dell’entrata in guerra dell’Italia. Non dimentichiamoci, inoltre, l’avanguardia letteraria, distante dai temi fascisti dell’epoca: in Leonora, addio! Pirandello scrive della violenza domestica. Mette per iscritto le violenze subite da una moglie chiusa in casa, picchiata e abusata a causa dell’estrema gelosia del marito. Questa novella costituisce l’ipotesto della commedia Questa sera si recita a soggetto, in cui Pirandello non solo inscena un abuso, all’epoca ancora non condannato dalla legge (si pensi al delitto d’onore, abolito solo negli anni ’70), ma si dedica ancora una volta alla celebrazione del teatro come forma di vita. Gli attori prima di essere personaggi sono uomini e donne e nel corso della rappresentazione protestano col regista per la messa in scena. Il regista viene espulso dalla scena perché li esorta a recitare a soggetto, a dare una visione artefatta della realtà. La quarta parete si frantuma, rendendo visibile la fragilità della rappresentazione scenica e al contempo la verità della finzione rappresentata. Il melodramma irrompe sul palco, Il trovatore di Verdi fa da sfondo all’ultima, tragica, scena. Mommina, la protagonista isolata dentro casa, muore mentre canta l’aria di Azucena, la zingara in cerca di libertà. Mommina muore mentre ricorda la bellezza del teatro, vera vita e vita vera, finzione e realtà, passione e catarsi. Il tutto messo per iscritto dalla geniale penna del maestro Luigi Pirandello, uomo prima che drammaturgo.
Esco di scena chiedendovi, cari lettori, quale rappresentazione teatrale – pirandelliana o meno – vi ha emozionati di più. Vi dico la mia: lo Schiaccianoci. È uno dei miei primi ricordi, tanti ballerini coloratissimi intenti a volare (avevo questa impressione) sopra le scenografie natalizie allestite sul palco del Teatro dell’Opera di Roma.
