Di Claudia Pisanti
Immaginate uno Stato dove tutti sono uguali: uomini, donne e bambini, purché provvisti di intelletto, possono farne parte e contribuirne. Uno Stato in cui si è pienamente liberi di professare la propria religione, e le proprie idee. E, soprattutto, immaginate uno Stato che trascenda i confini delle nazioni, che travalichi le montagne, costruisca ponti e si diffonda per tutto il globo. Le dispute in questa Repubblica si districano mediante il solo uso di carta, penna e calamaio, e la parola di un re vale quanto quella del suo servo. Ebbene, uno Stato del genere è esistito veramente: vi abitavano tutti i dotti d’Europa e si chiamava ‘Repubblica delle Lettere’.
Retoricismi a parte, quella che ad oggi ci sembra l’utopia incosciente di un bambino, tra il 1500 e il 1700 fu realtà. Ma andiamo con ordine.
Repubblica delle Lettere: con questo accattivante termine, gli intellettuali di tutta Europa si dichiaravano partecipi di una comunità. La Repubblica veniva considerata, da chi ne faceva parte, una nazione indipendente di uomini e donne (seppur queste ultime presenti in minima parte) liberi e uguali, dove si poteva professare la propria religione e le proprie idee: Galileo (cattolico) e Keplero (protestante) discutevano delle loro idee copernicane. In merito a ciò si rifletta, inoltre, sul fatto che le origini di tale ideologia coincidono, e forse sono anche scaturite, con le guerre di religione che dilaniavano l’Europa intera.
Il termine ‘Lettere’ esprimeva un concetto più ampio di come lo consideriamo ai giorni nostri: includeva non solo la letteratura, ma tutto ciò che potesse essere messo per iscritto, comprendendo quindi anche tutte le scienze. Effettivamente, al tempo le varie discipline venivano intese in maniera più fluida e meno specifica di oggi. Si pensi al fatto che ci si riferiva alla fisica col termine ‘filosofia naturale’, alludendo quindi a un forte legame tra le due. Per questo motivo, molti dei più noti filosofi – eg. Cartesio e Leibniz – sono autori di scoperte e invenzioni appartenenti ad ambiti che oggi sembrerebbero diametralmente opposti ai temi filosofici trattati (il noto piano e il calcolo infinitesimale).
Come comunicavano tra loro gli abitanti di questa enorme nazione? Lettere.
Ogni cittadino della Repubblica tesseva una rete epistolare più o meno fitta. Per diffondere la conoscenza, le lettere venivano ricopiate (a mano! La fotocopiatrice doveva attendere ancora alcuni secoli per essere inventata e la stampa a caratteri mobili non si addiceva allo scopo) e spedite alla propria rete di corrispondenti.
Il desiderio di uno Stato universale, purtroppo, non resistette ai nazionalismi ottocenteschi: gli ideali patriottici non si adattavano, infatti, alle aspirazioni della Repubblica; pertanto, questa immensa nazione non sopravvisse al secolo romantico. Se è vero che la diminuzione dei rapporti tra i dotti delle varie nazioni è dovuto a un cambiamento di ideali, rapporti che in parte si sono infatti rinvigoriti al termine delle due grandi guerre, è anche vero che non si può addossare ad essi la causa della fine del dialogo interdisciplinare. Di questo processo ne fu causa la scienza stessa, la cui crescente iper-specializzazione (a partire proprio dall’800) rese il sottile filo che distingueva le varie ‘Lettere’ una voragine incolmabile: ad oggi, addirittura, un astrofisico e un fisico delle particelle non capirebbero l’uno il lavoro dell’altro e costruire un dialogo sarebbe impossibile.
Eppure, se tentare un ritorno alla Repubblica sarebbe oltremodo anacronistico, credo che provare a socchiudere i compartimenti stagni in cui si sono sigillate le varie discipline negli ultimi 100 anni sarebbe possibile e vantaggioso. Si potrebbero scoprire analogie e similitudini tra lo sviluppo delle specie e la ramificazione del linguaggio o tra il linguaggio poetico e quello matematico e le nuove frontiere di ricerca sarebbero pressoché infinite.
