Di Claudia Pisanti
Ho scritto recentemente in merito alla Repubblica delle Lettere. Ne ho elogiato la capacità di oltrepassare le barriere di tipo religioso, politico o ideologico in generale. Ho terminato dicendo che la comunità scientifica, dopo le due guerre, è riuscita a ricompattarsi e a ritrovare la trans-nazionalità e universalità che l’ha caratterizzata nei suoi primi due secoli di esistenza. Gli avvenimenti di questi giorni mi hanno, purtroppo, smentita.
È del 7 marzo, infatti, l’annuncio da parte del CERN, laboratorio che vanta un’identità internazionale e multiculturale, della sospensione delle collaborazioni con le università e istituti di ricerca russi. Per la precisione, si parla di collaborazioni future: le relazioni su progetti in corso non vengono interrotte. Questo comportamento, a mio parere, non può che essere biasimato. Non intendo recriminare, ovviamente, la decisione del consiglio del CERN di dichiarare solidarietà alla nazione ucraina e condannare l’aggressione russa: la Scienza (come anche l’Italia) dovrebbe ripudiare la guerra come strumento di offesa. È l’ultimo punto del breve documento pubblicato che non approvo: “… new collaborations with Russian institutes will not be undertaken”.
Nel venire a conoscenza di questa decisione, il pensiero è tornato velocemente a vicende risalenti alla prima metà del ‘900, quando, qualche mese dopo lo scoppio della Grande Guerra, novantatré tra i più illustri professori universitari tedeschi dell’epoca firmarono un manifesto in difesa del bellicismo tedesco. Tra i firmatari si può leggere anche il nome di Max Plank, il padre della fisica quantistica.
Di reazione a ciò, la comunità scientifica tutta rispose con l’ostracismo degli scienziati tedeschi dai più importanti congressi internazionali (ad esempio il congresso Solvay del 1921), segnando la prima folle frattura che porterà, forse, alla tanto vigorosa partecipazione degli scienziati europei al progetto Manhattan (Prima, s’intenda, ma non unica frattura: non si può ignorare che la promulgazione delle leggi razziali e la cacciata dalle università dei fisici ebrei – prima in Germania e successivamente in Italia – costituì un successivo e forse maggiore tassello a tale determinazione).
L’unico ad opporsi a questa ostilità tra scienziati fu Albert Einstein. Egli, infatti, pacifista militante, tentò di opporsi sia al Manifesto tedesco sia alla smisurata reazione della controparte, con la stesura di un ‘Manifesto agli Europei’, nel quale chiedeva ai ‘buoni europei’ di Goethiana memoria di non lasciarsi trascinare dagli avvenimenti e a rifiutare pubblicamente la guerra che stava dilaniando il vecchio continente.
Il manifesto di Einstein venne sottoscritto solo da altri tre intellettuali: Wilhelm Foerster, Georg Friedrich Nicolai e Otto Buek; i tempi non erano maturi (e forse ancora non lo sono) per immaginare e desiderare un’Europa unita.
La situazione oggi è la medesima. Di nuovo uno Stato si impone con la forza su un altro Stato. Di nuovo la comunità scientifica non riesce ad essere unita e preferisce creare fazioni interne piuttosto che collaborare. Di nuovo è più facile tagliare i ponti con un’intera nazione di scienziati anziché tentare, almeno all’interno della più democratica delle comunità, un dialogo.
