In Stazione

Di Camilla Tettoni

La torre rossa fingeva di scandire il tempo, immobile nelle sue lancette rotte.

Isabella tentava in ogni modo di calmare il bambino, gemente per la fame, mentre Pietro spingeva con forza la porta per cercare di entrare nella struttura; Federico attendeva pigramente in macchina, sperando negli sforzi degli altri; Alice ascoltava della musica, ma in realtà gli auricolari erano spenti, aveva solo bisogno di un po’ di riposo; Teresa attraversava avanti e indietro la strada, ritmicamente, per esorcizzare l’agitazione; Lucia si stava dedicando a truccarsi senza specchio e il rossetto rosso, sbavato, insieme ai forti colori con cui aveva disegnato le palpebre, la facevano sembrare una Moira Orfei uscita particolarmente male.

Più in là, un po’ in disparte rispetto agli altri, Lorenzo sedeva osservando i convogli arrivare oltre lo specchio. Il papà gli aveva insegnato la bellezza di saper aspettare, non aveva fretta. L’aspetto tranquillo e calmo lo distingueva dagli altri. Erano stati giorni di fuoco, un ponte pasquale vissuto fuori porta, ma non erano più abituati a stare tutti insieme da troppo tempo, ormai. La maglietta bianca di Lorenzo era sporca di sugo, le ciabatte piene di fango, i capelli spettinati, però nessuno se ne era accorto. Neanche lui.

Sedeva lì, ad aspettare i treni e a vederli partire per destinazioni che sperava di andare a visitare, presto, al fianco del padre. La mattina si era svegliato all’alba, dopo sogni agitati. La sera prima, a cena, aveva percepito un senso di stanchezza precoce, non era riuscito a mangiare molto. Mentre si assopiva, aveva avvertito uno schiocco leggero sulla fronte. Al risveglio, una lettera poggiata con cura sul comodino lo invitava ad essere felice.

Era stato destato dalle urla concitate della zia Teresa. Quando arrivò in cucina, se ne erano andati via quasi tutti. Isabella, con dolcezza, gli propose di rimanere a casa, “il cielo non promette bene oggi, meglio restare al caldo”, ma il bambino non acconsentì. Andarono insieme alla stazione, dove erano arrivati quattro giorni prima, da dove sarebbero dovuti ripartire il giorno dopo. Nessuno avrebbe potuto immaginare, soprattutto Lorenzo, che quella sarebbe diventata la tomba di papà Fabrizio.

Lascia un commento