Ucraina: cosa potrebbe succedere dopo il termine del conflitto?

Di Camilla Tettoni

Emmanuel Macron, intervenuto al Globsec Forum, in Slovacchia, ha parlato della possibilità di una trattativa in seguito al termine dell’offensiva in Ucraina. “Sarà un dilemma: meglio un processo per i crimini di guerra o un negoziato per la pace?”

Queste parole hanno suscitato scalpore. Come può, si è detto, pensare di trattare con chi ha compiuto stragi immonde. Ebbene, le parole del presidente francese hanno un fondamento giuridico. In particolare, il dilemma macroniano rientra nella sfera della giustizia transizionale – inerente ai diritti umani.

La giustizia transizionale può accadere solo in luoghi in cui è avvenuto un conflitto. Tuttavia, condizione sine qua non riguarda il momento in cui può essere eseguita: dopo un conflitto, non durante. Quindi, post-conflitto, si valuta la strada da seguire per dare giustizia ai crimini avvenuti.

I possibili approcci sono due: retributivo e riparativo. Il primo prevede la messa a processo dei responsabili dei crimini di guerra, il secondo, invece, la riparazione di una società sconvolta dalla guerra. Pone, dunque, le vittime al centro.

Si potrebbe obiettare che le vittime sono poste al centro quando viene data loro giustizia. Solo un processo può ricucire le ferite inflitte. Eppure, se ci pensiamo, non è così semplice: innanzitutto, è impossibile punire tutti i responsabili dei crimini di guerra. I casi studio che possiamo prendere in considerazione, a partire dal Processo di Norimberga (post Seconda Guerra Mondiale) mostrano una inevitabile selezione delle persone ritenute responsabili. E talvolta, come è accaduto nell’ICTY, il tribunale ad hoc costituito dopo la dissoluzione della Yugoslavia, chi ha commesso stragi può ottenere una riduzione della pena se ammette le proprie colpe. Le vittime hanno giustizia, certamente, ma è una giustizia parziale. Solo alcuni dei responsabili vanno in carcere, e la società, annientata dal conflitto, rimane divisa.

L’approccio riparativo, invece, punta all’instaurazione di truth-commissions, commissioni volte a scoprire la verità. Non sempre i criminali vengono puniti, ma le vittime in questo modo vengono a conoscenza di tutta la verità, di dove sono state compiute le stragi, dove trovare i corpi sepolti in massa, cosa è successo ai capi di governo scomparsi, e così via. Non si placa, magari, il senso di vendetta, ma si avvia certamente un sentimento di riconciliazione.

Ora, cosa potrebbe accadere in Ucraina dopo il conflitto? Non possiamo saperlo con esattezza, visto che il conflitto è ancora in corso. Il caso ha voluto, però, che il tema del mio paper per il corso in Transitional Justice and Human Rights, riguardasse proprio un possibile scenario post-conflitto russo-ucraino. Scavando tra varie fonti, ho trovato diverse argomentazioni interessanti.

Il 17 marzo 2023 la Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto per il presidente russo Vladimir Putin e per il commissario presidenziale per i diritti dei bambini Lvova-Belova. Ci sarebbero, infatti, buone ragioni per sospettare che Putin sia responsabile della deportazione e del trasferimento illegale di bambini ucraini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa.

Secondo Amnesty, i crimini commessi dal 24 febbraio 2022 a oggi includono: processi iniqui, maltrattamenti dei prigionieri di guerra, mancanza di diritti di espressione, economici e culturali. Secondo il presidente ucraino Zelensky, le truppe russe avrebbero commesso più di 400 crimini di guerra durante l’occupazione della regione di Kherson tra marzo e novembre 2022.

Abbiamo visto che gli approcci che si potrebbero seguire, in seguito al termine del conflitto, sono essenzialmente due. Scegliere l’approccio retributivo significherebbe condannare gli autori delle atrocità commesse. Un esempio è quello del soldato russo 21enne condannato all’ergastolo per aver sparato a un civile disarmato. Probabilmente, però, è più facile perseguire i singoli soldati che i generali o i leader del governo russo.

La Corte Penale Internazionale non dispone di una propria polizia, ma si affida alla polizia dei suoi Stati membri. Inoltre, diversi Paesi, tra cui la Russia, non sono membri. Pertanto, Putin non può essere arrestato a meno che non metta piede in uno degli Stati membri: scenario alquanto improbabile. La Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, d’altra parte, per formare un tribunale speciale ha bisogno dell’appoggio degli Stati fondatori – i vincitori della Seconda Guerra Mondiale. La Russia, essendo tra questi, non approverebbe mai la fondazione di tale tribunale.

Ecco perché, quindi, la giustizia transizionale mostra come il detto di Martin Luther King, ‘Non c’è pace senza giustizia, e non c’è giustizia senza pace’, non è sempre vero. Perché, come si è appena visto, sarà difficile ottenere una piena giustizia, punendo i piani alti.

La pace può essere ottenuta riconciliando i due popoli, costituendo commissioni di verità, dunque seguendo un approccio riparativo.D’altronde, da un punto di vista geopolitico il popolo ucraino e il popolo russo condividono anni di storia, di cultura. E, in alcune zone, condividono la stessa lingua. Si possono fornire recompensations, come è accaduto nel caso bosniaco, in cui agli sfollati sono state restituite le loro case di proprietà (dopo anni, ma è pur sempre un ottimo punto di arrivo).

Le parole di Macron, dunque, non devono suscitare scalpore. Se fosse un mondo giusto, tutti avrebbero giustizia e pace. Si creerebbero tribunali ad hoc, con giudici nazionali e internazionali al loro interno, commissioni di verità e quant’altro. Ma da un punto di vista politico – e, forse, anche umano – solo un negoziato può favorire entrambe le parti. Scagliarsi contro il Cremlino, senza valutare altre opzioni, potrebbe rivelarsi un tremendo buco nell’acqua.

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