Barbenheimer

Di Camilla Tettoni

Barbie e Oppenheimer sono usciti nello stesso giorno in America, nel Regno Unito e in altre parti del mondo. Non in Italia. Forse per motivi di marketing, o di doppiaggio, non saprei. Una cosa è certa: è stato emozionante vedere le sale del cinema piene dopo la pandemia.

Scrivo questo pezzo a caldo, dopo aver visto Barbie. Ho ancora dentro di me il sentimento di profonda commozione che mi ha regalato il film. Comico, ironico, simpatico. Profondo, vero, spiazzante. Commuovente. Greta Gerwig ha riunito in poco meno di due ore il senso più profondo del mondo odierno. Di cosa vuol dire vivere in un mondo talvolta ingiusto. Non ho intenzione di fare spoiler, non voglio raccontare la trama, perché tutto è una sorpresa, tutto è inaspettato. Il film è certamente condito dalla purezza di una gioia limpida, pulita e buona. Barbie è proprio, come dice il trailer, un film per tutti: per chi odia le Barbie, o per chi le ama. Per chi non ci ha mai giocato, o le distruggeva da bambino (come, ahimè, la sottoscritta), o per chi ci è cresciuto insieme. Si sente tanto con questo film, tantissimo. Il piccolo principe che è dentro di noi, la parte più pura del nostro cuore, si sente riscattato e compreso. Forse, soprattutto da noi donne. Ma non solo. Tutti abbiamo la sensibilità di comprendere cosa viene rappresentato, cosa accade sul grande schermo. E ognuno è libero di esprimere la propria opinione. Io ritengo che questo film sia un capolavoro colorato, dai toni in bianco e nero. Una denuncia che all’apparenza appare un gioco. E lo rimane in alcuni punti, persino nella comica scena finale. Un film da vedere, da assaporare, da interiorizzare per uscirne con gli occhi lucidi, forse, ma pieni di un senso di riscatto e speranza per il futuro. Se posso darvi un altro consiglio, ascoltate “What I was made for?”, di Billie Eilish. Toccante, bellissima.

Arriviamo ora al secondo film – che, paradossalmente, ho visto per primo. Un capolavoro di Christopher Nolan. La storia vera di Oppenheimer, l’inventore (insieme ad un nutrito gruppo di scienziati, tra cui il nostrano Enrico Fermi) della bomba atomica sganciata il 6 e il 9 agosto 1945 sulle città di Nagasaki e Hiroshima. Un film sulla vita di Oppenheimer, ma non solo: le sue battaglie, le sue vittorie e le sue sconfitte, la sua genialità e la sua insicurezza. Una storia vera, verissima, su uno sfondo storico mai affrontato così in profondità in precedenza. Tre ore di film che immergono lo spettatore nella costruzione di un’arma di distruzione di massa potentissima, nella politica coinvolta, nella guerra – che non si avvicina mai ma rimane costantemente come sfondo. Una linea tra passato e presente, non solo tra gli spettatori e la pellicola, ma anche nella trama stessa. Attraverso un meccanismo che non voglio rivelarvi, ma che scoprirete presto andando al cinema. Un’interpretazione magistrale di Cillian Murphy, alle prese con il suo primo ruolo da protagonista in un film di Nolan, con cui collabora da venti anni. Interessantissimo e, paradossalmente, rigenerante, Oppenheimer rivela i due lati dell’America, i due lati degli anni ’40 e dei decenni a seguire. Scopriamo cosa ha cambiato il mondo, perché è stato cambiato. È troppo tardi per tornare indietro? Questa, secondo il mio modesto parere, è la domanda alla base della pellicola. Pellicola in cui la trama fa risaltare la persona dietro la sua invenzione, l’invenzione dietro i giochi politici, i giochi politici dietro gli interessi personali. Un’incredibile colonna sonora, curata da Goransson, alimenta i climax del film. Insomma, imperdibile.

Due pellicole, due must. Vi assicuro che ne vale assolutamente la pena.

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