Di Matteo Carloni
Siamo nel pieno della cosiddetta awards season, ovvero quel periodo dell’anno in cui vengono premiate le opere artistiche della passata stagione. Per quanto riguarda il cinema, manca sempre meno alla prossima edizione degli Oscar, che si terranno a Los Angeles il prossimo 10 marzo.
Nella decina di film ce n’è uno che in particolare cattura l’attenzione: “Anatomy of a Fall” (“Anatomie d’une chute”), film francese diretto dalla regista Justine Triet. Visti i trascorsi, possiamo dire che gli Oscar non sono stati sempre aperti verso film di altre nazionalità, tendendo piuttosto a premiare film made in USA. Ma negli ultimi anni le cose sono cambiate perché i membri dell’Academy, il collettivo che ogni anno vota e seleziona i film, ha aperto le porte anche a cineasti provenienti da molte più nazioni.
Ma torniamo alla nostra Justin Triet. Il suo film arriva agli Oscar con ben 5 nominations, fra cui quella al miglior film. Tra le varie categorie, l’Academy ogni anno premia anche il miglior film straniero; quest’anno l’Italia è riuscita ad arrivare nella cinquina finale con il film “Io, capitano” diretto da Matteo Garrone.
Ragionando logicamente la Francia avrebbe dovuto presentare “Anatomy of a Fall” ma così non è stato, nonostante il grande successo riscosso a livello internazionale. Ha optato invece per La “Passion de Dodin Bouffant”, diretto da Trần Anh Hùng e anch’esso presentato a Cannes, in cui è risultato vincitore del premio per la miglior regia. Ma perché il comitato di selezione francese ha scelto questo secondo film quando con il primo poteva assicurarsi la statuetta?
Dobbiamo tornare indietro di qualche mese, precisamente a maggio dove a Cannes, durante la cerimonia di premiazione, Justine Triet sale sul palco per ritirare la Palma d’oro e pronuncia un discorso fortemente politico, in cui attacca Macron e il sistema culturale francese senza mezzi termini.“Quest’anno il Paese è stato attraversato da una protesta storica e unanime contro la riforma delle pensioni. Protesta che è stata scioccamente sottostimata dal governo. E questo percorso di dominio del potere sta diventando sempre più palese”, ha dichiarato Triet. “La mercificazione della cultura, che il governo neoliberista difende, sta distruggendo l’eccezione culturale francese, ovvero le misure che proteggono e incoraggiano l’ arte francese di fronte alla globalizzazione, quella stessa eccezione culturale senza la quale non sarei qui davanti a voi oggi”.
Ovviamente queste parole hanno scatenato una serie di risposte da varie personalità di rilievo in Francia, chi a difesa della regista, chi contro. La ministra della cultura Rima Abdul Malak in un tweet sul suo profilo ha dichiarato di essere rimasta “sconcertata dall’ ingiustizia del suo [di Triet] discorso. Questo film non sarebbe potuto essere realizzato senza il nostro modello francese di finanziamento del cinema, che permette una diversità unica al mondo. Non dimentichiamolo.”
Di rimando il deputato socialista Olivier Faure ha detto di essere “stupito nel vedere un ministro della Cultura che pensa che quando si finanzia un film, si acquista anche la coscienza dei suoi autori.”
È opportuno precisare che Cannes, a differenza di Venezia, è rimasta diffidente riguardo al potere che stanno acquisendo le piattaforme all’interno dell’industria cinematografica. Infatti la croisette francese obbliga i produttori a distribuire i film presentati in concorso in sala, escludendo quindi di fatto le piattaforme digitali come Netflix. In un articolo apparso sul The Guardian si è precisato come da questa sorta di guerra fredda dipenda in realtà il futuro del cinema, ed è quello che ha fatto notare coraggiosamente Justine Triet. Siamo in una fase delicata dell’industria cinematografica che cambia continuamente, che si deve adattare ai tempi e alle esigenze del pubblico.
A questo punto è lecito chiedere: l’integrità artistica che ruolo ha? Non è stato confermato ma è molto probabile che il comitato di selezione francese non abbia gradito le parole di Triet e l’abbia di fatto esclusa dalla selezione per gli Oscar. Ma fortunatamente “Anatomy of a Fall” ha avuto un successo travolgente ed è riuscito ad aggirare l’ostacolo. È difficile dare un giudizio sulla vicenda perché entrano in gioco sia fattori personali che politici. È giusto penalizzare un’opera valida perché la sua autrice non è in linea con il nostropensiero? Vero è che, come diceva Carol Hanisch, il personale è politico e che ogni opera anche quella che si dichiara a-politica in realtà non lo è, ma quanto la politica con la P maiuscola ha il diritto di interferire nelle opere artistiche? A voi lettori e lettrici il giudizio.
Editing testo a cura di Camilla Tettoni
