Nazra: Palestine Short Film Festival

Recensione di sette cortometraggi realizzati da registi e giornalisti palestinesi

Di Camilla Tettoni

Venerdì 18 ottobre, al cinema Palma di Trevignano Romano, è stata proiettata la seconda parte del Nazra, un festival dedicato ai cortometraggi rappresentanti temi palestinesi. Nel corso della serata sono state trasmesse sette opere prime, tra cui il documentario che ha vinto l’edizione di quest’anno. I filmati hanno variato molto, pur rimanendo sul tema del conflitto israelo-palestinese: abbiamo visto reportage, cartoni, filmati stop motion. Una rassegna interessante, purtroppo attuale più che mai.

Abo Jabal, di Bisan Owda

La giornalista Bisan Owda

A dare inizio al reportage è una data precisa: l’8 maggio 2024. Gli sfollati di Rafah devono essere trasferiti in altri campi, in quanto l’esercito israeliano ha annunciato il lancio, a breve, di un’operazione militare distruttiva. Bisan Owda, giornalista palestinese, intervista Tahani, madre che ha perso il suo figlio più grande il giorno dei primi bombardamenti a Gaza (dall’inizio del conflitto corrente), l’8 ottobre del 2023. Mentre mostra la tenda, il campo circondato dal deserto, e la devastazione del luogo in cui i figli un tempo sono andati a scuola, Tahani non cela la propria disperazione per un futuro incerto, e privo di giustizia. Tahani racconta che, nonostante l’aver perso tutto, è stata fortunata: ha potuto seppellire il proprio amatissimo figlio, e non lasciarlo decomporre e mangiare dagli animali selvatici. Uno spaccato di vita vera, che non può lasciare indifferenti. Soprattutto sapendo cosa è accaduto a Rafah, e la devastazione accaduta poco dopo la registrazione del reportage: “All eyes on Rafah”.

The Sound Of Clouds, di Mohammad Loftali

Il cartone, che dura pochi minuti, parte da un evento riportato dai media internazionali: il 20 ottobre 2023 i bambini di Gaza scrivono il proprio nome sulle mani così da essere riconosciuti, se uccisi. Le fiamme circondano i sorrisi dei bambini, alcuni dei quali volano tra le nuvole, giocando e ridendo insieme agli altri angeli. Al termine del corto, un video risalente a ottobre 2023: un cerchio di bambini ed educatori che ridono, giocando, in un’ospedale che poche ore dopo sarà bombardato, causando centinaia di vittime innocenti. Un corto toccante, per tutti, in ricordo dei tanti bambini ingiustamente assassinati. Per i quali non possiamo rimanere in silenzio.

Al Ard, di Basel Nasr

Questo corto in stop motion rappresenta, in appena un minuto e mezzo, la frammentazione accaduta nel territorio palestinese in seguito alla colonizzazione israeliana. Nasr, il regista, ha creato nel 2015 uno studio d’animazione dedicato allo sviluppo dell’arte e dell’animazione in Palestina.

Gaza Atelier, di Montaser Sameeh Al-Sabe

Sameeh Al-Sabe, nato a Gaza, è il direttore esecutivo del Red Carpet Human Rights Film Festival a Gaza. Nel corto da lui diretto la protagonista Ahlam, una stilista palestinese, vuole aprire un atelier ma un evento, un fatto storico avvenuto nel 2021, interromperà i suoi sogni: il suo atelier, insieme a molti altri edifici, verrà bombardato la sera prima dell’apertura. I manichini del negozio, smembrati, rappresentano i corpi martoriati dalle bombe. Uno spaccato di realtà terribile, che estende il periodo dei bombardamenti su Gaza ad un periodo anteriore al 2023. Storicamente, sono 70 anni di guerriglia.

Mar Mama, di Majdi El Omari

Inizio con lo scrivere che questo è stato il corto che mi ha emozionata di più. Una bambina, in seguito all’uccisione della madre, è terrorizzata dalla morte. Il padre tenta di distrarla, giocandoci insieme, e girando un film insieme a lei. Cambia il suono delle pistole con quello dei fuochi d’artificio, e cerca di spostare la sua attenzione dal contesto che li circonda. Mar Mama, Santa Mamma, diventa l’eroina sul cavallo, con cui gioca. Sul finale del corto, il padre non può più celare la realtà con giochi di fantasia, in quanto dei soldati irrompono in casa. L’immaginazione della bambina la salva, portandola in un mondo altro, su un cavallo alato, lontano. Lontano.

An Orange From Jaffa, di Mohammed Almughanni

Mohammed è un giovane palestinese, che sta disperatamente cercando un modo per raggiungere la madre oltre il check-point israeliano. Trova un taxi, con alla guida Farouk, con cui raggiunge uno dei punti di confine tra i due territori. Eppure, i problemi iniziano quando i soldati israeliani vengono a sapere che Mohammed ha già tentato di entrare da un altro check-point, ma l’ingresso gli è stato negato, nonostante la carta di soggiorno polacca. Il motivo? La carta d’identità di Mohammed è di Gaza, la madre era riuscita a passare perché residente in Cisgiordania. Gaza è contiuamente sott’occhio, in quanto “covo di terroristi”. Se si ha la sfortuna di nascere in una striscia di terra confinata, ci si deve rimanere per sempre, che sia giusto o meno. Il corto dura 27 minuti e segue i momenti di paura, di attesa della polizia, insieme a diversi momenti comici, come la querelle tra il tassista, che per colpa del giovane ha perso una corsa importante, e Mohammed. I controlli finali saranno effettuati a notte inoltrata e la macchina, che di default doveva essere confiscata, verrà ridata indietro per intercessione… della madre del poliziotto, che al telefono gli intima di tornare a casa perché Shabbat. Insomma, sono state le madri al telefono, di entrambe le parti, a muovere le fila narrative. Un corto simpatico, e al tempo stesso drammatico, nel mostrare le difficoltà di vita quotidiane. Il finale non è lieto, eppure riesce ad essere avvertito come tale, per quella filosofia che solo chi è cresciuto in zone senza speranza riesce ad avere. Vedere il bene nel male, e trovare il riso nella disfatta. Un ottimo lavoro, che vi consiglio di vedere. Mohammed, il regista, è nato a Gaza e ha studiato in Polonia, come il protagonista: che sia un’opera autobiografica?

The Key, di Rakan Mayasi

Il regista di questo corto è palestinese di origine, ma nato in Germania. Una figura ben rappresentativa dei milioni di palestinesi rifugiati all’estero: la popolazione palestinese è, infatti, la seconda popolazione per numero di rifugiati al mondo. The Key è il filmato che ha vinto la presente edizione del festival Nazra, motivo per cui ve ne parlo per ultimo, per chiudere al meglio questa rassegna cinematografica. Edina, bambina di pochi anni, sente spesso un rumore di notte, che la sveglia, terrorizzandola. Sente un rumore alla porta, come se qualcuno stesse cercando di girare la chiave, e di entrare in casa. I genitori, preoccupati, portano più volte la figlia dal neurologo, che nonostante non riscontri problemi di alcun tipo decide di prescriverle un sonnifero. Non appena la bambina comincia ad addormentarsi tranquillamente, anche la madre inizia a sentire un rumore preoccupante, alla porta. Quando anche il marito si trova avvolto nel mistero, decide di sparare all’uscio di casa, ma dall’altra parte non c’è nessuno. Il portiere assicura che nessuna persona può entrare senza essere visto, viste le numerose telecamere del comprensorio, ma il mistero rimane.

Dopo qualche minuto, ci rendiamo conto che la famiglia rappresentata è israeliana. Lo status sociale, l’appartamento riccamente decorato e lo spazioso stabile contrastano fortemente con le abitazioni, e le tende dei campi da rifugiati, visti nei corti proiettati fino a questo momento. The Key è un thriller psicologico, basato sul romanzo dello scrittore palestinese Anwar Hamed, che ruota intorno al concetto della chiave, e al diritto del ritorno del popolo palestinese nelle loro case. Nei territori occupati.

La consapevolezza della famiglia israeliana genera un senso di paura, e di colpa, che finirà per influenzare anche il medico: il rumore notturno della chiave che gira nella serratura della porta non risparmierà neanche lui. E terrorizza le coscienze degli occupanti quanto una bomba, e infierisce quanto un senso di colpa lungo 70 anni.

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