Fabrizio De Andrè, “Non al denaro non all’amore né al cielo”: poesia sulla natura umana

Di Benedetta Vale

Ciò che oggi vi propongo non è una critica musicale o letteraria, né il tentativo di definire entro canoni razionali un’opera d’arte dalle potenzialità sconfinate, fornendo solo una delle numerose chiavi di lettura possibili. Il mio intento è quello di introdurvi all’ascolto di un album che ognuno di noi dovrebbe ascoltare, anche più volte nella vita, non solo per le musiche (magistralmente realizzate da Nicola Piovani) ma soprattutto per i testi, in cui ciascuno può specchiarsi. Fabrizio De Andrè, (Genova, 18 febbraio 1940 – Milano, 11 gennaio 1999) racconta di aver letto l’Antologia di Spoon River (di cui abbiamo parlato in questo articolo) quando era solo diciottenne. Citando il cantautore nell’intervista che Fernanda Pivano, celebre traduttrice del testo americano sopra citato, fece a De Andrè nel 1971: “Spoon River l’ho letto da ragazzo, avrò avuto 18 anni. Mi era piaciuto, e non so perché mi fosse piaciuto, forse perché in questi personaggi ci trovo qualcosa di me. Poi mi è capitato di rileggerlo, due anni fa, e mi sono reso conto che non era invecchiato per niente. Soprattutto mi ha colpito un fatto: nella vita, si è costretti alla competizione, magari si è costretti a pensare il falso o a non essere sinceri, nella morte, invece, i personaggi di Spoon River sì esprimono con estrema sincerità, perché non hanno più da aspettarsi niente, non hanno più niente da pensare. Così parlano come da vivi non sono mai stati capaci di fare“. Il celebre cantautore rimase affascinato dalla sincerità e la libertà con cui solo i morti possono esprimersi e decise di trasformare nove dei componimenti dell’Antologia di Spoon River in un album che, richiamando una frase della prima delle poesie, La Collina, (il brano: La collina) prese il nome di “Non al denaro non all’amore nè al cielo”(1971). De Andrè afferma di aver selezionato, tra le 244 poesie celebrative del cimitero immaginario di Spoon River, le storie che meglio si adattavano a trattare i temi più vicini alla vita di provincia: l’invidia e, ad essa vicino, il tema del limite e del suo superamento (brani: Un matto, Un giudice, Un malato di cuore, Un medico, Un ottico), la scienza, che ancora non è riuscita a risolvere problemi esistenziali (il brano: Un chimico), il rapporto con la spiritualità (il brano: Un blasfemo) e, forse quello più pre-potente all’interno dei testi di De Andrè, il tema della libertà (il brano: Il suonatore Jones).

La collina

“Dov’è Jones il suonatore
che fu sorpreso dai suoi novant’anni
e con la vita avrebbe ancora giocato.

Lui che offrì la faccia al vento
la gola al vino e mai un pensiero
non al denaro, non all’amore né al cielo”.

La collina è l’incipit sia del libro che dell’album. Parla dei morti che si trovano sulla collina del cimitero di Spoon River: uomini morti sul lavoro o per malattia, donne morte per aborto o per amore, o ancora prostitute uccise durante uno stupro, caduti di guerra e i loro generali. Gli ultimi versi del brano, che vi ho riportato, richiamano il personaggio del suonatore Jones, che tornerà alla fine dell’album, e contengono la frase che ne diventerà il titolo.

Un matto (Dietro ogni scemo c’è un villaggio)

Tu prova ad avere un mondo nel cuore
E non riesci ad esprimerlo con le parole
E la luce del giorno si divide la piazza
Tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa
E neppure la notte ti lascia da solo:
Gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro
“.

La poesia corrispondente è l’epitaffio di Frank Drummer, uomo ritenuto pazzo e rinchiuso in manicomio perchè non riesce ad esprimersi con il linguaggio:

“E sì, anche tu andresti a cercare
le parole sicure per farti ascoltare:
per stupire mezz’ora basta un libro di storia,
io cercai di imparare la Treccani a memoria,
e dopo maiale, Majakowsky, malfatto,
continuarono gli altri fino a leggermi matto”.

Un giudice

“Passano gli anni, i mesi,
e se li conti anche i minuti,
è triste trovarsi adulti
senza essere cresciuti;
la maldicenza insiste,
batte la lingua sul tamburo
fino a dire che un nano
è una carogna di sicuro
perché ha il cuore troppo,
troppo vicino al buco del culo”.

L’epitaffio corrispondente è quello di Selah Lively, un uomo da sempre deriso e vittima di malelingue a causa della sua bassa statura (nella poesia 5 piedi e 2 pollici, nel brano “un metro e mezzo”) il quale decise di laurearsi in giurisprudenza e diventare un giudice per vendicare le umiliazioni subite attraverso il potere del giudicare e condannare.

Un blasfemo (Dietro ogni blasfemo c’è un giardino incantato)

“Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino
non avevano leggi per punire un blasfemo
non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte
mi cercarono l’anima a forza di botte”.

La storia corrispondente è quella di Wendell P. Bloyd, un blasfemo che, dopo la morte, afferma di non essere più arrabbiato con Dio, ma con chi usa la religione per esercitare il potere.

Un malato di cuore

“Ma che la baciai questo sì lo ricordo
Col cuore ormai sulle labbra
Ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo
E il mio cuore le restò sulle labbra

E l’anima d’improvviso prese il volo
Ma non mi sento di sognare con loro
No, non mi riesce di sognare con loro”.

Un malato di cuore è tratta dalla storia di Francis Turner, affetto da una patologia cardiaca fin dall’infanzia, che muore quando il suo cuore non regge l’emozione di un bacio. 

Un medico

“E il sistema sicuro è pigliarti per fame

nei tuoi figli, in tua moglie, che ormai ti disprezza,

perciò chiusi in bottiglia quei fiori di neve, l’etichetta diceva: “Elisir di giovinezza”.

La poesia corrispondente è quella del dottor Siegfried Iseman, il quale, medico per passione, dapprima si offre di curare gratuitamente la povera gente, poi per questo, non guadagnando i soldi per vivere, cade in miseria: decide così di iniziare a vendere pozioni miracolose.

Un chimico

Da chimico un giorno avevo il potere
Di sposar gli elementi e farli reagire
Ma gli uomini mai mi riuscì di capire
Perché si combinassero attraverso l’amore
Affidando ad un gioco la gioia e il dolore

Guardate il sorriso guardate il colore
Come giocan sul viso di chi cerca l’amore
Ma lo stesso sorriso lo stesso colore
Dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore
Dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore”.

Per me in assoluto la più suggestiva, Un chimico incarna il dramma tra ragione e sentimento. Essa è tratta dall’epitaffio di Trainor, il farmacista di Spoon River, che tenta invano di comprendere le unioni sentimentali con le leggi della chimica, motivo per cui non si è mai innamorato o sposato; egli morì “in un esperimento sbagliato, proprio come gli idioti che muoion d’amore, e qualcuno dirà che c’è un modo migliore”.

Un ottico

“Non più ottico ma spacciatore di lenti
Per improvvisare occhi contenti
Perché le pupille abituate a copiare
Inventino i mondi sui quali guardare
Seguite con me questi occhi sognare
Fuggire dall’orbita e non voler ritornare”.

La canzone è tratta dalla storia di Dippold, un ottico che vuole realizzare occhiali speciali che aiutino la gente a vedere oltre la realtà e coglierne la meraviglia. La concezione alla base è quella che è lo sguardo, o la lente, a determinare la nostra realtà. Attraverso la metafora degli occhiali, il testo si riferisce probabilmente all’uso di sostanze stupefacenti.

Il suonatore Jones

“Libertà l’ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato
Per un fruscio di ragazze a un ballo
Per un compagno ubriaco”.

Emblema di libertà e probabile alter ego di De Andrè, il suonatore Jones suona per passione, non per ricchezza, non fa della musica un mestiere, non è schiavo del denaro.

“Finii con i campi alle ortiche, finii con un flauto spezzato
E un ridere rauco, ricordi tanti
E nemmeno un rimpianto”.

Spero che, se siete arrivati fin qui, vi siano piaciuti questi testi e le storie che raccontano, e che dedicherete mezz’ora della vostra giornata all’ascolto di questo piccolo gioiello musicale e capolavoro letterario. Se ben assaporato, potrebbe essere un momento di introspezione e di catarsi, un viaggio tra storie lontane ma vicine, vicinissime a noi.

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