Storia di un film ai confini del mondo

Di Camilla Tettoni

Non so se vi è mai capitato di andare a vedere un film a scatola chiusa, quasi come fosse un appuntamento al buio. A me è successo per la prima volta ieri sera, e devo dire che la realtà dei fatti si è rivelata ben più alta delle aspettative!

Il cinema Palma è il cinema storico del borgo di Trevignano Romano. Vi ho già parlato di Trevignano, qui andai ad incontrare André Aciman – ormai quasi un anno fa, come vola il tempo. Paesino pittoresco, si snoda con le sue viuzze strette sul lago di Bracciano. Oltre alla bellezza del posto in sé, la presenza di un cinema storico, il cinema Palma, ne rafforza l’identità culturale. Cinema d’essai, trasmette pellicole sia di premi oscar sia di registi indipendenti. Il biglietto costa solo 5 euro, e d’estate un’arena vista lago ospita le proiezioni, al fresco e sotto le stelle.

Sto scrivendo tutte queste belle parole per il cinema Palma perché è il luogo che in primis mi ha avvicinato al grande schermo, permettendomi una completa immersione in mondi diversi, tutti ugualmente affascinanti. Ho perso il conto dei lungometraggi che ho visto a Trevignano. Inutile dire che nessuno, vista la previa selezione, mi ha delusa. Eppure, quello di ieri sera è stato un film che mi ha lasciato qualcosa dentro, qualcosa che non se ne va.

Lunana: il villaggio ai confini del mondo” (traduzione italiana di “Lunana: a yak in the classroom”) è un film del 2019, ambientato e girato in un mondo altro, lontanissimo dal nostro, il Bhutan. Uscito nelle sale italiane il 31 marzo 2022, è arrivato nella cinquina finale ai Premi Oscar, in lizza per vincere il riconoscimento di Miglior film straniero.

La trama, a prima vista, può apparire semplice: un giovane maestro, disinnamorato del suo lavoro, viene assegnato ad un villaggio lontanissimo dalla sua città. Per raggiungerlo, deve compiere un viaggio di due giorni in pulmino, e otto giorni di cammino. Giunto in cima, accolto dai 56 abitanti, le scarse condizioni igieniche, la mancanza di elettricità e il freddo lo esortano a voler tornare indietro. Tuttavia, nei giorni che è costretto ad aspettare prima di poter riprendere il cammino verso la pianura, inizia a tenere lezione nella scuoletta del villaggio, circondata da montagne e da yak. L’allegria e la voglia di imparare dei bambini, nonostante le mancanze materiali – erano privi persino della lavagna – e l’avvicinamento ad una cultura altra, alla vita vera, lontana dai cellulari, dai social, la vita vissuta col cuore puro, a contatto con persone che non hanno mai conosciuto le agevolazioni fornite dal consumismo, faranno cambiare idea al maestro. Hanno luogo, di conseguenza, una serie di vicissitudini che non sto qui a spoilerarvi. Il finale stesso del film è aperto: non vengono posti limiti all’immaginazione. La storia è scritta, ma viene vissuta dal solo protagonista, in una ideale continuazione dell’idea secondo cui la vita dovrebbe essere vissuta lontano dalla tecnologia e, in questo caso, dallo schermo.

La sceneggiatura ha saputo creare un’atmosfera completamente immersiva, in cui non solo noi spettatori abbiamo imparato a conoscere le lande sconfinate del Bhutan (diverse da una volta, il cambiamento climatico è presente e viene fatto notare), ma camminiamo al fianco del maestro nella conoscenza di un nuovo stile di vita, di una diversa prospettiva. L’ambiente non fa solo da sfondo, ma viene inglobato nella trama, diventandone parte integrante.

“L’insegnamento è importante, perché tocca il futuro”: queste sono le prime parole dette da un giovanissimo allievo al protagonista. Il maestro impara, in pochi mesi, ciò che non ha potuto mai imparare a scuola: la bellezza del proprio mestiere e il ritorno alla semplicità. Il ritorno ai rapporti veri.

Insomma, se avete modo di vedere questo film guardatelo. Sono certa che non ve ne pentirete. Il tempo scorre veloce, e gli yak – soprattutto Norbu – fanno lieta compagnia allo spettatore.

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